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Storia della musica medievale

La musica medioevale copre circa cinque secoli, nel corso della storia della musica, e va dall'XI fino alla fine del XV secolo. Essa, dato il lungo arco di tempo, è suddivisa in diversi sotto periodi che ne distinguono lo sviluppo.
Il termine comprende tutta la musica europea scritta durante il Medioevo. Questa ebbe inizio con la caduta dell'Impero Romano e terminò in circa la metà del XV secolo, che istituisce la fine dell'era medievale e l'inizio del Rinascimento. In un certo senso la musica del periodo fu caratteristica solo per lo stesso, durante il corso di tutta la storia.

Stili e tendenze

L'unica musica medievale, che può essere studiata, è quello che è stata scritta e soprattutto quella che è sopravvissuta al tempo. Dal momento che la creazione di manoscritti musicali è stata molto costosa, a causa delle spese in pergamena, e l'enorme quantità di tempo necessario per uno scrivano per copiare tutto verso il basso, solo le potenti casate, le famiglie nobili di altissimo rango erano in grado di creare manoscritti che sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Anche istituzioni come La Chiesa in epoca medievale hanno composto dei brani di cui ci è pervenuto qualcosa, i brani più importanti sono certamente quelli noti come Gregoriani.
Tali manoscritti non riflettono in realtà, però, gran parte della musica popolare del tempo. All'inizio del periodo, la musica si presume fosse essere monofonica e omoritmica con quello che sembra essere un testo cantato all'unisono e senza supporto strumentale o accompagnamento strumentale. Nella notazione musicale, inizialmente, sembra che non ci fosse modo di specificare il ritmo, solo successivamente comparve tal tipo di notazione.
La semplicità del canto, con la voce all'unisono e la declamazione naturale era più comune. La notazione della polifonia si sviluppò successivamente. L'armonia, gli intervalli consonanti, gli unisoni, ottave, (e più tardi, i quarti perfetti) erano però già noti, anche se quasi mai utilizzati. La Notazione ritmica che fu adottata solo nel tardo Medioevo permise complesse interazioni tra più voci in modo ripetibile. L'utilizzo di testi multipli e la notazione di accompagnamento strumentale si svilupparono solo alla fine dell’epoca medievale.

Gli strumenti

Gli strumenti utilizzati per eseguire musica medievale esistono ancora, anche se in forme diverse, dal momento che degli originali si hanno pochissimi e rarissimi pezzi, spesso gelosamente custoditi da privati per eredità o da istituzioni o conservatori famosi e di fama internazionale o mondiale.
Il flauto una volta era fatto di legno, piuttosto che d'argento o di altro metallo, e come oggi ne erano note due forme: il flauto traverso o il flauto dritto. I flauti moderni hanno conservato nei secoli la forma che noi oggi vediamo, anche se ovviamente oggi il materiale è diverso. Il flauto medievale è tra gli strumenti usati dal cantautore italiano Angelo Branduardi nelle sue canzoni. Sia nelle moderne canzoni in stile medievale, sia in quelle dei cantautori, il flauto è uno strumento che spesso viene adottato nella parte musicale introduttiva della canzone, accompagna i ritornelli e viene usato per la parte finale, ma non viene suonato continuamente durante i brani. Si tratta di uno strumento dal timbro delicato, dolce, diverso dal timbro dei flauti moderni e questo probabilmente è dovuto al fatto che oggi la maggior parte dei flauti vengono prodotti con materiali plastici, mentre i flauti impegnati nelle rievocazioni storiche o nei brani di alcuni cantautori, sono in legno e prodotti artigianalmente, ne consegue così che mentre i flauti in plastica o materiali simili hanno tutti la stessa voce, i flauti di mano artigiana hanno tutti una voce propria, l’uno diverso dall’altro. In un componimento musicale, senza parte cantata, che prevede più di un flauto sarebbe più che orecchiabile la differenza delle voci degli strumenti. Uno dei predecessori del flauto, il flauto di Pan [1], era molto popolare in epoca medievale, ed è probabilmente di origine ellenica.
 

Figura 1 - flauto di Pan

La musica medievale utilizzava, inoltre, molti strumenti a corde pizzicate, come il liuto, mandora [2], Gittern e salterio. Il dulcimer o salterio martellato, una struttura simile al salterio e cetra, erano originariamente a pizzico.
La lira, fu strumento tipicamente usato nelle corti dell'impero bizantino e fu il primo strumento europeo ad arco. Il geografo persiano Ibn Khurradadhbih del IX secolo († 911), citò la lira bizantina, nella sua discussione sugli strumenti ad arco considerandolo equivalente allo strumento per il rabàb arabo. Un altro strumento tipico dei Bizantini fu il noto urghun (organo), shilyani ( probabilmente un tipo di arpa o lira) e la salandj (probabilmente una cornamusa). Altro strumento che ha mantenuto la sua forma originale è la ghironda. Esistevano inoltre strumenti come l’arpa ebraica, le prime versioni di organo, violino (o viella), e trombone (chiamato sackbut).

Figura 2 – Mandola

Il liuto


Figura 3 - liuto rinascimentale, le copie di liuti medievali sonno rarissime

 
Con il termine liuto si intende sia lo strumento musicale sia, secondo la classificazione organologica Hornbostel-Sachs, la particolare famiglia di strumenti cordofoni composti da un manico sul quale l'esecutore preme con le dita le corde nelle posizioni opportune, e da una cassa armonica. A seconda del modo utilizzato per produrre il suono dalle corde,ovvero 6 corde, si distinguono i liuti ad arco, nei quali le corde sono sfregate da un archetto (violino, viola...) dai liuti a plettro, nei quali le corde sono pizzicate dal plettro o dalle unghie dell'esecutore (chitarra, mandolino...).
I liuti, siano essi ad arco o a plettro, si possono anche classificare, in base al manico, in corti e lunghi. La conseguenza è che nei liuti lunghi si ha a disposizione su una sola corda, una sequenza di note maggiore che non sui liuti corti; pertanto sui liuti lunghi si possono eseguire contemporaneamente sia la melodia, suonata su una corda, che l'accompagnamento, suonato sulle altre corde, cosa che invece è fortemente limitata, se non impossibile, sui liuti corti.
L'evoluzione del liuto portò alla costruzione di strumenti di diapason variabile, e con diverse accordature dovute anche al variare del numero di corde o di ordini di corde che possono variare dai quattro ai dodici.
Generalmente, il liuto rinascimentale a 6 cori utilizzava l'accordatura della viola da gamba tenore, con intervalli di quarta tra le corde, fatta eccezione per l'intervallo tra il quarto e il quinto ordine, che è di terza maggiore.
I liuti con più di 6 ordini di corde normalmente sono composti con l'aggiunta di ordini di corde più gravi, utilizzati a vuoto; in questo caso i primi sei ordini sono accordati normalmente, mentre le corde gravi possono essere accordate secondo i pezzi da eseguire (secondo la prassi esecutiva barocca raggruppati in suites della stessa tonalità).
  • Durante il XVII secolo vengono introdotte diverse variazioni di accordatura; in Francia si impone verso la fine del secolo l'accordatura in "re minore", con ordini gravi modificati a seconda della tonalità dei brani da eseguire.
  • Liuto rinascimentale a sei ordini di corde
  • Liuto rinascimentale a 8 ordini
  • Liuto primo barocco a 10 ordini
  • Liuto barocco a 13 ordini
Strumento musicale a corde pizzicate, con cassa armonica ovoidale; di origine orientale, fu importato in Europa durante il medioevo e raggiunse la massima diffusione nel XVI sec. La cassa del liuto, in origine ricavata da un unico blocco di legno, fu in seguito costruita con diversi listelli (da nove a quaranta circa), per ottenere una sonorità più dolce e più intensa. Il manico, corto e largo, si estende sullo stesso piano della tavola: a esso è fissato, ortogonalmente, il cavigliere a spatola. Una serie di legamenti di minugia divide il manico in otto o nove parti, dette tasti. Le corde sono generalmente sei, tutte doppie, a eccezione di quella più acuta (cantino). L'accordatura varia secondo il tempo e il luogo, ma rispetta in genere questa successione: due quarte, una terza maggiore, due quarte. Lo strumento era suonato con un plettro o anche, per ottenere maggiore morbidezza e fluidità d'esecuzione, con le dita nude. La musica per liuto era scritta con un particolare sistema detto intavolatura. Nel XVII secolo il numero delle corde basse aumentò; il liuto giunse così ad avere sino a undici corde. Si ebbero allora vere e proprie famiglie di liuti, variamente accordati; a causa dell'aumentato numero delle corde basse il manico dello strumento fu allungato e vi si aggiunse un secondo cavigliere superiore, cui erano fissate le corde gravi, suonate a vuoto. Questo strumento prese il nome di tiorba e, nelle sue varietà di maggiori dimensioni, quello di arciliuto e di chitarrone. Il repertorio della musica per liuto a noi pervenuta si estende dal 1507 (anno nel quale comparvero, a Venezia le prime intavolature dell'editore Petrucci) sino al 1770 circa. Il liuto occupò un posto di considerevole rilievo nella vita musicale, specie nel xvi sec., quando ebbe la stessa diffusione e la stessa versatilità d'impiego raggiunte nell'ottocento dal pianoforte. Le fonti cinquecentesche comprendono sia composizioni originali per lo strumento (danze, quali pavane, gagliarde, passamezzi, saltarelli; ricercari, fantasie, variazioni; preludi di carattere improvvisatorio), sia molte trascrizioni di brani vocali, profani e sacri. Nel XVII secolo la musica per liuto fu coltivata particolarmente in Francia e in Germania, mentre in Spagna e in Italia lo strumento cominciò a declinare, di fronte all'affermarsi della chitarra e del violino. Il repertorio comprende in questo periodo principalmente preludi e danze (allemande, correnti, sarabande, gighe, ecc.) composte prima separatamente e in seguito riunite in suites. Le personalità di maggior rilievo sono Denys Gaultier in Francia, Esaias Reusner in Germania. In questo paese il liuto ebbe cultori anche nel xviii sec.: tra essi emerge Silvius Leopold Weiss; J. S. Bach scrisse quattro suites, due preludi e due fughe per liuto; Haydn alcune Cassazioni.
Si ha prova dell'esistenza di strumenti musicali del genere dei liuti sin dall'antico Egitto. Il liuto, come lo si conosce oggi (cassa armonica convessa a forma di pera costruita con doghe incollate) appare presumibilmente intorno al VI secolo in Asia Minore. Anzi è proprio il nome a tradirne l'origine: il termine "liuto" deriva infatti, attraverso varie forme ("lauto", "leuto"...) dall'arabo al oud (i.e. "legno"). Gianfranco Lotti suggerisce che questo termine fosse derogativo perché ogni musica strumentale fu vietata nei primi secoli dell'Islam.
Dall'Arabia il liuto fu portato, fra il XII ed il XIII secolo in Spagna e da qui nel resto d'Europa, dove lo strumento venne perfezionato sia nella tecnica costruttiva che in quella esecutiva (si abbandonò l'uso arabo del plettro per privilegiare l'esecuzione con le dita, più ricca ed espressiva).
Nel periodo di massima diffusione (sec. XVI), il liuto constava di 5 corde doppie più una, la più acuta, singola, accordate per terze o per quarte. Inoltre la necessità di disporre, negli ensemble di liuto, di strumenti a cui affidare le parti gravi dell'accompagnamento, portò allo sviluppo dell'arciliuto, di dimensioni più grandi e con un numero di corde maggiore. Come per molti strumenti musicali, il liuto cadde in disuso dapprima in Spagna, sostituito dalla vihuela, e poi nel resto del continente (sec. XVIII).
Nonostante il timbro ed il volume di suono del liuto non permettessero altro che esecuzioni cameristiche, le sue doti di maneggevolezza, la sua capacità di suonare accordi composti da più di tre note, il suo suono breve, particolarmente adatto nelle esecuzione di musiche di danze e nell'accompagnamento del canto solista, fecero la fortuna e l'enorme popolarità di questo strumento. Si consideri inoltre, che molto spesso la musica per il liuto era scritta non sul pentagramma musicale o secondo le altre forme di notazione, ma su intavolature che riportavano segnate le corde dello strumento e il numero di capotasto da premere; ciò rendeva l'apprendimento ancora più semplice ed intuitivo, anche da parte di un pubblico non particolarmente preparato in materia musicale.
La liuteria è l'arte della costruzione e del restauro di strumenti a corda ad arco (quali violini, violoncelli, viole, contrabbassi, ecc.) e a pizzico (chitarre, bassi, mandolini, ecc.). Il nome deriva dal liuto, strumento a pizzico molto usato fino all'epoca barocca. È un'arte e tecnica artigianale che, dall'epoca classica della liuteria (XVII, XVIII secolo), è giunta fino ai giorni nostri quasi immutata. Durante il Rinascimento, in Italia vi fu un gran fermento nell'attività liutaria. Famosa per le sue botteghe fu ed è anche oggi, la città di Cremona, che ospitò, tra le altre, le botteghe di Antonio Stradivari e Giuseppe Guarneri del Gesù, probabilmente i più grandi liutai della storia.
Esistono oggi industrie produttrici di strumenti che affidano spesso la costruzione dei loro prodotti alla catena di montaggio, risparmiando notevolmente sui costi della produzione seriale e producendo così strumenti a basso prezzo. Ciononostante la liuteria, specialmente quella riguardante gli strumenti ad arco, rimane una delle poche arti a preservare la tradizionale lavorazione manuale per la produzione di strumenti ad alto livello.
Gli strumenti di liuteria hanno prezzi di norma notevolmente superiori rispetto a quelli di produzione industriale ma la qualità sonora e la finitura dello strumento artigianale sono di livello nettamente superiore. La produzione a mano permette inoltre varie personalizzazioni, impossibili nella produzione seriale. Gli strumenti di produzione industriale vengono generalmente usati solo nei primi anni di studio, non essendo possibile con essi riuscire ad eseguire adeguatamente brani impegnativi tecnicamente e musicalmente. In alcune città d'Europa, come Cremona in Italia, Granada in Spagna o Mirecourt in Francia la liuteria è un settore importante e tradizionale dell'economia locale.

Il Gittern

Il Gittern era uno strumento relativamente piccolo, che ha avuto origine intorno al XIII secolo ed è arrivato in Europa attraverso la Spagna moresca. Si tratta di un predecessore della chitarra, il Gittern esternamente somigliava alla Mandora, ed è stato un parente della liuto in quanto la sua schiena era analogamente arrotondata. Tuttavia, il Gittern era molto più piccolo e non esisteva una chiara divisione tra il corpo e il collo. Generalmente il suo corpo e il collo erano rappresentati da un unico pezzo di legno. Si tratta di uno strumento popolare usato dai menestrelli e musicisti dilettanti del XIV secolo. Poco dopo, la sua popolarità cominciò a svanire, dando luogo al più grande e suggestivo liuto.


Figura 4 - Il Gittern
 
Il Gittern solitamente era scolpito in un solo pezzo di legno. Raramente più tardi, nel XV secolo, la parte posteriore fu stata costruita con una serie di sottili nervature coniche in quanto era caratteristica del liuto. A differenza di un angolo acuto che unisce il corpo al collo nel liuto, il corpo del Gittern e il collo sono sempre uniti in una curva o una linea retta.
Il Gittern era spesso usato soprattutto nel XIV e XV secolo. Carlo V di Francia ne possiedeva uno d'avorio, mentre gli Este di Ferrara avevano l’onore di avere i maestri di Gittern. Il Gittern era molto apprezzato anche da musicisti dilettanti di ogni classe, grazie alla sua portabilità e la facilità di utilizzo. Chaucer menziona il Gittern diverse volte nei Racconti di Canterbury come strumento suonato nelle taverne.
Il Gittern fece la sua prima comparsa, come strumento musicale, a partire dal XII secolo e proveniva dai paesi arabi. Dal 1270 ca. la sua esistenza e la sua descrizione erano tramandate oralmente, fu raffigurato solo dopo il 1300 e quindi a quest’ultimo periodo risalgono le fonti scritte. Nel corso del XIV secolo, l’uso del Gittern aumentò costantemente. Il liuto fu messo in ombra dalla popolarità Gittern nel corso del XV secolo. Poco dopo tra i vari strumenti musicali comparve la viola-chitarra usata spesso insieme al Gittern, anche se quest'ultimo è stato gradualmente poi usato sempre meno. Nei secoli dell’era moderna, questo strumento non fu più usato se non occasionalmente, per alcuni eventi importanti.

Salterio

Un salterio è uno strumento musicale a corde simile all’arpa o alla cetra. Il salterio della Grecia antica (Epigonion) risale almeno al 2800 a.C., quando era usata come arpa. Etimologicamente la parola deriva dal greco antico ψαλτήριον (psaltérion) ovvero "strumento a corde, arpa", e che dal verbo ψάλλω (psallo) significa "toccare bruscamente, cogliere, tirare" nel caso di corde di strumenti musicali ".
Lo strumento è di solito abbastanza piccolo da essere portatile, la sua forma e la gamma sono varie. E 'raffigurato in una serie di opere del periodo medievale.
 
 

Figura 5 - salterio

Dulcimer o salterio martellato

Il salterio martellato è uno strumento musicale a corde con le corde tese su una tavola trapezoidale. In genere, il salterio martellato è impostato su un tavolo, in un angolo, prima che il musicista, che detiene martelli, martelli per colpire le corde. Dulcimer è una parola greco-romana che significa "dolce canto", ma deriva dal latino dulcis (dolce) e il greco melos (canto). Il dulcimer è di origine incerta, ma la tradizione vuole che fu inventato in Iran (Persia) circa 2000 anni fa, terra in cui era invece chiamato santur.
Vari tipi di dulcimer sono tradizionalmente presenti nel Sudovest Asiatico, nella Cina e nel Sudest asiatico, in Europa centrale (Ungheria, Romania, Slovacchia, Polonia, Repubblica Ceca, Austria e Baviera) e orientale (Ucraina e Bielorussia). Lo strumento è inoltre usato molto in Gran Bretagna (Galles, East Anglia, Northumbria).

 


Figura 6 - Dulcimer
 
Il salterio martellato è disponibile in varie dimensioni, identificato dal numero di stringhe che si incrociano formando dei ponti. Le corde di un salterio martellato si trovano di solito in coppia, due corde per ogni nota (anche se alcuni strumenti hanno tre o quattro corde per nota). Ogni set di corde è accordato all'unisono e si chiama corso. Come nel caso di un pianoforte, al fine di utilizzare più corde per ogni corso è necessario rendere lo strumento più forte, anche se i corsi sono raramente in perfetta sintonia. Un salterio martellato, come un’arpa, un pianoforte richiede una chiave di ottimizzazione per intonarlo. Le corde del salterio martellato spesso sono sintonizzate diatonicamente.

La lira bizantina

La lira bizantina (in latino: lira, greco: λύρα, Turco: Rum Kemence), era uno strumento musicale ad arco a corda medievale nell'impero bizantino ed è un antenato dei moderni strumenti ad arco, tra cui il violino. Nella sua forma più popolare è stato uno strumento a forma di pera, con 3 o 5 corde, tenuto in posizione verticale. Resti di due esempi concreti di Lira bizantina dal medioevo sono stati trovati durante gli scavi a Novgorod; uno datato al 1190 d.C. La prima rappresentazione conosciuta di questo strumento consiste in un cofanetto bizantino in avorio (900 - 1100 d.C.), conservata nel Palazzo del Podestà a Firenze (Museo Nazionale, Firenze, Coll. Carrand, No.26).
Il primo riferimento scritto alla Lira ad arco è del IX secolo del geografo persiano Ibn Khurradadhbih († 911), nella sua discussione sugli strumenti, ha citato la lira (lura) come strumento tipico dei Bizantini con la urghun (organo), shilyani (probabilmente un tipo di arpa o lira) e la salandj (probabilmente una cornamusa). La lira si diffuse attraverso le vie commerciali bizantine che collegavano i tre continenti, nei secoli XI e XII, gli scrittori europei utilizzavano i termini violino e lira trattandoli come sinonimi quando si parlava di strumenti ad arco. Nel frattempo, il rabàb, lo strumento ad arco del mondo arabo, fu introdotto in Europa, eventualmente attraverso la penisola iberica ed entrambi gli strumenti si diffusero in tutta Europa, dando vita a vari strumenti europei ad arco come la ribeca medievale, la scandinava e islandese, e il crwth celtico. Un esempio rilevante è la lira da braccio italiana.

Figura 7 - Lira bizantina

 
Dal punto di vista organologico, la Lira bizantina è in realtà uno strumento appartenente alla famiglia dei liuti ad arco, ma la designazione di Lira (in greco: λύρα) può costituire una sopravvivenza terminologica relativa al metodo di esecuzione di uno strumento greco antico. La lira bizantina è talvolta chiamata informalmente “violino medievale”.

La lira

La lira è uno strumento musicale a corde, noto fino dall'antichità greca classica; i poeti recitavano accompagnati da essa. Non deve essere confusa con la cetra. Lo strumento è formato da due braccia unite da una traversa, che formano una specie di giogo; le corde sono tese nello spazio interno alle due braccia, e tese sulla traversa.
Per la mitologia greca l'inventore della lira fu Hermes. Un giorno il dio trovò all'interno della grotta una tartaruga. Dopo averla uccisa, prese il carapace, e tese al suo interno sette corde di budello di pecora, costruendo così la prima lira. Hermes la regalò poi ad Apollo, e questi al figlio Orfeo. In epoca classica, la lira era in effetti associata alle virtù apollinee di moderazione ed equilibrio, in contrapposizione al flauto, legato a Dioniso e che rappresentava estasi e celebrazione. Non è noto dove sia nato lo strumento: sicuramente è stato importato in Grecia in epoca preclassica. Come luoghi di nascita, sono stati proposte località nell'Europa meridionale, Asia occidentale e nord Africa. Ancora oggi la lira viene suonata in alcune zone dell'Africa nordorientale.

Ghironda

La ghironda [3] (o gironda, in francese vielle à roue, in inglese hurdy gurdy) è uno strumento musicale a corde di origine medievale. Oggi è possibile ascoltare la ghironda in alcuni festival europei di musica folk, suonata spesso insieme a cornamuse, in particolare in Francia e in Ungheria. Il più famoso festival annuale è a Saint-Chartier, nella Francia centrale.
La prima testimonianza conosciuta è l'organistrum, un enorme cordofono utilizzato nel periodo gotico in ambito monastico per insegnare musica ed eseguire brani sacri. L'essere uno strumento polifonico ne ha probabilmente ispirato il nome, che deriverebbe quindi dal termine organum.
Una delle prime raffigurazioni dell'organistrum si trova nel portico della Gloria della cattedrale di Santiago de Compostela (XII secolo): si può notare come lo strumento, a forma di violino, sia di grandi dimensioni (anche 2 metri di lunghezza) e sia suonato contemporaneamente da due persone, di cui una addetta esclusivamente a ruotare la manovella.
Attorno al XIII secolo lo strumento, le cui dimensioni sono notevolmente ridotte, prende il nome di sinfonia (in francese chifonie): anche questo appellativo è probabilmente derivato dalla caratteristica polifonia dello strumento.
La sinfonia è suonata da un solo strumentista e viene utilizzata dai menestrelli per accompagnare danze e chansons de geste; in breve la sua popolarità ne allarga l'uso a processioni religiose e mystery plays. L'associazione, che si consolida nei secoli, con menestrelli, vagabondi e mendicanti (spesso ciechi, infatti era soprannominata "viola da orbi") fa di questo strumento simbolo, alternativamente, di rusticità, ignobiltà, immoralità, povertà.
Alla base del funzionamento dello strumento c'è una ruota di legno, coperta di pece e azionata da una manovella, che sfrega le varie corde: i cantini, i bordoni e la trompette. I cantini, solitamente due posti nella parte centrale dello strumento, sono controllati da una tastiera cromatica e realizzano la melodia. I bordoni, posti vicino al piano armonico, producono un suono continuo: di solito la tonica ma a volte si usa la dominante. La corda della trompette, poggiando su un ponticello mobile detto anche «chien» (cane), produce invece un caratteristico suono ronzante. Tramite la complessa tecnica dei colpi di manovella, che sollecitano la corda della trompette, è possibile realizzare delle formule di accompagnamento ritmico (colpi di due, di tre o di quattro, regolari o irregolari).
 


Figura 8 – Ghironda

L’Arpa

L'arpa è uno strumento musicale cordofono a pizzico.
Esistono vari tipi di arpe. Per quello che riguarda la musica popolare e tradizionale, molte culture e geografie hanno tra i propri strumenti qualche variante di arpa: si ha così l'arpa celtica, le varie arpe africane, indiane, ed altre ancora.
In ambito occidentale, il termine arpa non altrimenti specificato si riferisce quasi sempre all' arpa da concerto a pedali, della quale esistono varianti acustiche ed elettriche.
L'arpa da concerto a pedali è dotata di 47 corde tese tra la cassa di risonanza e una mensola detta "modiglione", con un'estensione di 6 ottave e mezza e intonato in do bemolle maggiore. I suoni estranei a questa tonalità si possono ottenere agendo su 7 pedali a doppia tacca; ogni corda è in grado di produrre tre note diverse ed è possibile costruire una scala cromatica.

 



Figura 9 - Arpa doppia, a sin; arpa classica a des.

L'arpa ha un'origine antichissima: deriva dal cosiddetto arco musicale. I primi ad avere in uso l'arpa furono gli Egiziani circa nel 3000 a.C. Le raffigurazioni sui monumenti risalenti all'Antico Regno, descrivono strumenti di media grandezza, alti circa un metro, forniti di sei o otto corde, formati grazie ad un fusto di legno arcuato, aventi l'estremità inferiore a forma di losanga, parzialmente concava e convessa; il suonatore appare accosciato o inginocchiato.[1] Nelle epoche successive, ad esempio nel Medio Regno, lo strumento assume dimensioni più grandi ed il suonatore viene raffigurato in piedi, la cassa sonora appare più ampia ed anche il numero di corde sale fino a venti.
Se ne conserva un esemplare che è stato datato circa al 2700 a.C. ritrovato a Ur (nell'odierno Iraq) da sir Leonard Woolley. L'arpa di cui parliamo era curvilinea e viene ancora costruita in Africa.
Presso gli Egiziani e gli Assiri venivano costruite arpe di varia foggia ed aventi un numero tra loro differente di corde (sembra che se ne avessero fino a 22).
L'uso dell'arpa probabilmente era anche conosciuto dal popolo ebraico mentre fu disdegnato dai Greci e dai Romani a tutto vantaggio della lira e della cetra.
L'arpa ricomparve in Europa, durante il IV secolo, presso le popolazioni nordiche (in particolare irlandesi ed anglosassoni) e da lì si diffuse nel resto del continente dove venne particolarmente usata nel genere musicale del Minnesang nel XII secolo. Dal IX secolo al XIV secolo l'arpa in Irlanda fu usata dai cantori girovaghi.
L'arpa divenne molto comune nel XIV secolo come accompagnamento per i canti o le danze.
Michael Praetorius, verso la fine del XV secolo, descrive i tre tipo di archi diffusi al suo tempo: l'arpa comune, di 24 corde avente un'estensione da fa a la; l'arpa irlandese, di 43 corde da do a mi; e l'arpa doppia, di otto ottave.
Questo strumento ha subito notevoli modifiche nell'arco dei secoli e, a partire dal 1607, dopo che Monteverdi la utilizzò nell'Orfeo, fu accolta nell'orchestra. Proprio in questo secolo furono effettuati vari tentativi per perfezionare il meccanismo dell'arpa. Dapprima fu fatto il tentativo di ridurre le arpe a due tipi di accordature; Antonio Stachio aggiunse cinque corde per ciascuna ottava e quindi estese la gamma dell'arpa a sei ottave più due note. Patrini realizzò una arpa doppia, in cui una fila di corde emetteva i toni della scala diatonica, mentre l'altra i semitoni intermedi. Solamente nel 1720, il costuttore bavarese Hochbrucker inserì i pedali, prima quattro e poi sette, azionanti una serie di leve collegati ai piroli delle corde; alla pressione del pedale corrispondeva una maggiore tensione della corda, equivalente al rialzo di un semitono.
Con l'aggiunta di varie modifiche tecniche l'arpa conquistò secoli e paesi. In Francia la scuola d'arpa fu particolarmente brillante nella seconda metà del XVIII secolo dove furono fabbricate arpe decorate in modo sfarzoso, alcune delle quali sono ancora conservate presso il Museo del Conservatorio di Parigi, il Museo della Scienza e della Tecnica di Monaco, il Museo dell'arpa Victor Salvi di Piasco (CN). Furono due liutai parigini, i Cousineau, nel 1760, a perfezionare il meccanismo dei pedali, applicando il sistema a uncinetto, che si rivelò molto più pratico dei precedenti e che si basava sull'azione del pedale su un tirante, che tramite una serie di leve esercitava una azione di attrazione sugli uncinetti e grazie a questi ultimi la corda veniva trascinata sui capotasti supplementari.
Nicolas Bochsa (1789-1856) fu uno dei più grandi arpisti del XIX secolo così come il suo allievo Elias Parish Alvars.
Nel 1811 nacque a Londra l'arpa a doppio movimento, che consentì l'esecuzione in tutte le tonalità grazie alla possibilità di innalzare la corda di due semitoni; questa tecnologia è tutt'ora in uso a brevetto del francese Sébastien Érard, che nel 1786 aveva già realizzato l'arpa a sistema unico. L'arpa moderna fu poi perfezionata nel corso del medesimo secolo. È proprio in Francia che possiamo annoverare una grande diffusione di composizioni per l'arpa, tra le quali Danses arpa di Debussy, Introduction et allegro di Ravel.
L'arpa è costituita complessivamente da 1.415 pezzi differenti che sono necessari alla sua fabbricazione.

L’Arpa celtica

L'arpa celtica, o arpa gaelica (detta in gaelico scozzese clàrsach e in irlandese cláirsach), è uno strumento a corde tipico del folklore dei paesi europei di area celtica. L'arpa triangolare celtica proviene dalla Scozia, dove compare durante l'ottavo secolo; si è successivamente diffusa in Irlanda dal XII secolo e poi nel Galles e in Bretagna.


Figura 10 - arpa celtica

 
L'arpa celtica si differenzia dall'arpa classica usata nelle orchestre sinfoniche per vari motivi:
  1. è più piccola rispetto all'arpa classica,
  2. a differenza della grande arpa da concerto, l'arpa celtica non ha i pedali, ma ha le chiavi, chiamate lever, con cui si ottengono i semitoni,
  3. le corde delle arpe celtiche antiche erano metalliche oppure di budello di pecora; oggi possono essere anche in nylon oppure in carbonio, e si possono suonare con i polpastrelli, mentre le corde in metallo si suonano con le unghie.
Gli antenati dell'arpa celtica devono essere ricercati tra le arpe dei Babilonesi, degli Assiri e degli Egizi.
La più antica arpa celtica arrivata a noi è quella del Re Brian Borù, conservata al Trinity College di Dublino, databile intorno al XIV secolo.
Intorno all'anno Mille i bardi Celti possedevano due tipi di arpa: una con le corde in metallo e un'altra con le corde in budello e la cassa di risonanza intagliata da un tronco di salice.
Gli arpisti formavano una corporazione di tipo ereditario ed erano organizzati come un ordine religioso. L'arpista era tenuto in grande considerazione in tutte le corti dove esercitava la sua arte, accompagnando con la musica le sue innumerevoli storie che parlavano di amore, di guerra, di amicizia, di magia. Era tale la sua influenza sul popolo che nel XV e nel XVI secolo molti sovrani emanarono leggi per limitare il potere dei bardi.
Gli ultimi bardi irlandesi furono O'Neill, Hempson, ma soprattutto Turlough O'Carolan, arpista cieco, vera pietra miliare e riferimento ancora attuale per gli arpisti dei nostri tempi. Dopo di loro, l'arpa celtica conobbe un periodo di declino durato diversi secoli.
Nel 1950 in Bretagna si assiste ad un revival dell'arpa celtica per merito di Denise Mégevand, professoressa di arpa di Alan Stivell, il quale diventerà il bardo degli anni '70 riportando in auge musiche e repertori che erano stati fino a quel momento ignorati dal pubblico giovanile del tempo e disprezzati dagli arpisti classici.
Oggi sono moltissimi gli arpisti che suonano questo strumento e si occupano di musica tradizionale: tra gli altri, Grainnè Hambly, Janet Harbison, Alan Stivell, Cormac de Barra, Enzo Vacca, Dominig Bouchaud, Vincenzo Zitello, Ettore Netti ed Enrico Euron.
L'arpa irlandese è anche raffigurata nel simbolo della tipica birra irlandese: la Guinness

I generi della musica medievale e la notazione musicale nel Medioevo

In questa epoca, la musica è sacra e profana, anche se quasi nessun brano di musica antica profana è sopravvissuto, e poiché la notazione è sviluppata relativamente tardi, la ricostruzione di questa musica, in particolare prima del XII secolo, è attualmente oggetto di congetture.
Durante il periodo medievale state gettate le fondamenta per le notazioni pratica e teorica che stanno alla base della musica occidentale, compresa quella odierna.
La prima musica medievale non ha avuto alcun tipo di sistema di notazione. I brani sono stati principalmente monofonici e trasmessi dalla tradizione orale. Tuttavia, la necessità di una sorta di notazione divenne evidente nella tradizione sacra del canto. Come la liturgia cristiana è diventata più complessa e variegata, con difficoltà di memorizzazione maggiore per l'esecutore. Il primo passo per risolvere questo problema è venuto con l'introduzione di vari segni scritti sopra i testi di canto, chiamati neumi. L'origine dei neumi [4] non è chiara e soggetta a qualche discussione, però, molti studiosi concordano sul fatto che i loro antenati più vicini sono i classici greci e romani con segni grammaticali che indicavano i punti importanti del canto registrando l'ascesa e la caduta della voce. I due segni fondamentali classici erano le actus, /, che indicavano una raccolta di voce, e la miastenia, \, che indicava un abbassamento.
Questi poi evolsero in simboli di base per la notazione neumatica, il Virga [5] (o "verga") che indica una nota superiore e ancora sembrava l’acutus da cui derivava, e il punctum [6] (o "dot") che indica una nota più bassa e, come suggerisce il nome, ha ridotto il simbolo gravis [7]ad un punto. Questo tipo di notazione sembra essersi sviluppata non prima del secolo VIII, ma nel IX secolo si è saldamente affermata come il principale metodo di notazione musicale. La notazione di base del Virga e il punctum sono rimasti i simboli per singole note anche se comparvero altri neumi più sviluppati. Questi neumi erano essenzialmente le combinazioni dei due segni originali. Va notato che questa notazione neumatica di base poteva solo specificare il numero di note e se volevano indicare toni alti o bassi. Non c'era modo di indicare ogni passo esatto, ogni ritmo, o anche la nota di partenza. Queste limitazioni sono un ulteriore indizio che i neumi si svilupparono come strumenti per sostenere la pratica della tradizione orale, piuttosto che a sostituirla. Tuttavia, anche se è nato come un semplice aiuto della memoria, la necessità di adottare una notazione più specifica divenne ben presto evidente.
Lo sviluppo successivo della notazione musicale è stata rappresentata dall’introduzione dei "neumi rialzati", in cui i neumi sono stati accuratamente posizionati a diverse altezze in relazione gli uni agli altri. Questo ha permesso al neumi di dare un'indicazione approssimativa della dimensione di un dato intervallo di tempo così come la direzione. Questo ha portato rapidamente a una o due linee, ognuna delle quali rappresenta una particolare nota, di essere immessi sul musica con tutti i neumi relativi. In un primo momento, queste righe non avevano alcun significato particolare, mentre invece una lettera posta all'inizio indicava che nota era stata rappresentata.
Il completamento della notazione è solitamente attribuita a Guido d 'Arezzo (c. 1000-1050), uno dei più importanti teorici musicali del Medioevo. Va notato che, mentre le fonti più antiche attribuiscono lo sviluppo a Guido, alcuni studiosi moderni suggeriscono che ha agito più come un codificatore di un sistema che era già in fase di sviluppo. Ad ogni modo, questa nuova notazione consentì ai cantori e ai musici di imparare anche pezzi completamente sconosciuto in un tempo relativamente più breve di quello che la tradizione orale richiedeva. Tuttavia, anche se la notazione nel canto aveva compiuto progressi in molti modi, uno dei problemi fondamentali non era ancora stato risolto: il ritmo. Il sistema di notazione neumatica, anche nel suo stato completamente sviluppato, non definisce chiaramente ogni tipo di ritmo per il canto in note.

La teoria musicale

La teoria musicale del periodo medievale ha visto numerosi miglioramenti oltre la prassi precedente, sia per quanto riguarda il materiale, la struttura. Per quanto riguarda il ritmo, invece, questo periodo vide drammatici cambiamenti sia nella sua concezione sia nella notazione. Durante il medioevo non vi era alcun metodo per trascrivere il ritmo, e quindi la pratica ritmica di questa musica antica è soggetto a acceso dibattito tra gli studiosi. Il primo tipo di scrittura per codificare un certo ritmo fu sviluppato solo nel corso del XIII secolo e si basava su una serie di modi di trasporto. Il ritmo fu codificato per la prima volta dal teorico della musica Johannes de Garlandia, autore del De mensurabili musica (ca. 1250), il trattato che definiva e più completamente chiariva una possibile codificazione del ritmo. Nel suo trattato di Johannes de Garlandia descrive sei specie di codificazioni. Ogni codificazione prevedeva un modello in battiti, tempora, all'interno di una comune unità di tre tempora (un perfectio) che si ripeteva ancora e ancora. Inoltre, la notazione senza testo si basava sulle catene di legature (le notazioni caratteristiche con cui i gruppi di note sono tenuti insieme).
Una volta che un ritmo era stato assegnato ad una linea melodica, c'era una piccola deviazione da quel ritmo stesso, anche se gli adeguamenti ritmici potevano essere indicati dai cambiamenti delle legature, fino al punto da cambiare in un altro modo il ritmo. Il prossimo passo in avanti in materia di ritmo venne dal teorico tedesco Franco di Colonia. Nel suo trattato Ars Cantus mensurabilis, scritto intorno al 1280, egli descrive un sistema di notazione di forma diversa in cui le note erano del tutto differenti dai valori ritmici. Questo è un cambiamento notevole rispetto al precedente sistema di de Garlandia. Ciò rappresentò una innovazione che ebbe un massiccio impatto sulla successiva storia della musica europea. La maggior parte della musica scritta superstite del XIII secolo utilizza il metodo di de Garlandia. Il passo successivo nell'evoluzione del ritmo fu compiuto solo dopo l'inizio del XIII secolo con lo sviluppo dello stile Ars Nova.
Il teorico di questo nuovo stile è Philippe de Vitry, famoso per aver scritto la Ars Nova, un trattato del 1322. Questo trattato sulla musica ha dato il nome allo stile di questo periodo intero. Inoltre, il suo contributo alla notazione del ritmo rese possibile la scrittura della musica nei successivi cento anni. In un certo senso il moderno sistema di notazione ritmica è iniziato con Vitry, che ha rotto completamente dai precedenti sistemi di notazione. Questo nuovo stile è stato chiaramente costruito sopra il lavoro di Franco di Colonia. Nel sistema di Franco, il rapporto tra una breve [8] e un semibreve [9] è stato equivalente a quello tra un breve e una lunga [10]. Il tempo era composto da tre semibrevi.
Questa divisione ternaria era valida per tutti i valori delle note. Al contrario, invece, il periodo dell’Ars Nova introdusse due importanti modifiche: la prima è stata una suddivisione ancora più piccola di note (semibrevi, potrebbe ora essere diviso in minime [11]), e il secondo è stato lo sviluppo di "Mensuration". Con Ars Nova, la ripartizione perfetta del tempo non era l'unica opzione. Vitry sosteneva che il breve poteva essere divisa, per una composizione intera, o una parte di composizione, in gruppi di due o tre semibrevi più piccole. In questo modo, il tempus (il termine che passò ad indicare la divisione del breve) poteva essere "perfetto" (Perfectus Tempus) con suddivisione ternaria, o "imperfetto" (imperfectus Tempus) con suddivisione binaria.
In modo simile, la divisione della semibreve (denominato Prolazione [12]) poteva essere divisa in tre minimi (prolatio Perfectus o Prolazione maggiore) o due minimi (prolatio imperfectus o Prolazione minore) e, al livello superiore, la divisione di periodi lunghi (chiamato modus) poteva essere fatto di tre o due brevi (Perfectus modus o modalità perfetta, o imperfectus modus o modo imperfetto, rispettivamente).
Va notato che, mentre molte di queste innovazioni sono attribuiti a Vitry, e un po' presenti nel trattato Ars Nova, un contemporaneo e conoscente personale di de Vitry, chiamato Johannes de Muris (Jehan des Mars), offrì il più completo e sistematico trattato delle notazioni tratto da Nova Ars. Il trattato tuttavia figurò come di autori anonimi, ma questo non toglie nulla alla sua importanza per la storia della notazione ritmica.
Per tutta la durata del periodo medievale, la musica sarebbe stata composta principalmente in tempus perfetto, con effetti speciali creati da sezioni di Tempus imperfettus; per questo inoltre c'è una grande controversia in corso tra i musicologi.
Lo stile Ars Nova è rimasto il sistema ritmico principale fino alle opere fortemente dell’Ars subtilior alla fine del XIV secolo. Questo sotto-genere spinse la libertà ritmica fornita da Ars Nova ai suoi limiti, con alcune composizioni con voci diverse scritte nelle firme tempus diverse contemporaneamente. La complessità ritmica che è stata realizzata in questa musica è paragonabile a quella del XX secolo.
Di pari importanza per la storia della teoria musicale occidentale, sono stati i cambiamenti della tessitura, che è venuto con l'avvento della polifonia [13].
 
 
 
Figura 11 - La notazione adiastematica del Codice Angelica.

Questa nuova pratica era nota con il nome di organum [14]. L’Organum poteva essere ulteriormente classificati a seconda del periodo in cui veniva scritto. L'organum primi, come descritto nella Enchiriadis può essere chiamato "organum stretto"; l’Organum Strict poteva a sua volta essere suddiviso in due tipi: Diapente (organum durante l'intervallo di una quinta) e diatesseron (organum durante l'intervallo di un quarto). Tuttavia, entrambi questi tipi di organum avuto problemi con le regole musicali del tempo. Se uno di loro era usato in parallelo ad un canto originale per troppo tempo (a seconda della modalità) si sarebbe comportato come un tritono. Questo problema è stato un po’ superato con l'uso di un secondo tipo di organum. Questo secondo stile organum è stato chiamato "organum libero". Il suo elemento distintivo è che le parti non solo si potevano muovere in parallelo, ma potevano anche muoversi in obliquo, o in contrasto con il movimento. Ciò ha reso molto più facile l’evitare il temuto tritono.
Lo stile di organum finale che si sviluppò successivamente era conosciuto come "organum melismatici", fu caratterizzato da una partenza piuttosto drammatica dal resto della musica polifonica. Questo nuovo stile non era nota contro nota, ma era piuttosto una linea sostenuta accompagnata da una linea florida melismatici. Questo tipo di organum finale fu ripreso anche dal più famoso compositore polifonico di questo tempo, Léonin. Inoltre, questo tipo di polifonia influenzò tutti gli stili successivi, con più tardi i generi di mottetti polifonici a partire da una metafora delle attuali organums Notre Dame.
Un altro elemento importante della teoria musicale medievale fu l'unico sistema tonale adottato all’epoca. Durante il Medioevo, questa disposizione sistematica caratterizzata di una serie di passaggi e di tutta la procedura è ciò che noi oggi chiamiamo una scala [15], era conosciuto come una modalità.
La finalis era il tono che funge da punto focale per le modalità. Era anche utilizzato quasi sempre come il tono finale (di qui il nome). Il tono di recitazione (a volte indicato come il tenore o confinalis) era il tono che serve come il principale punto focale nella melodia (soprattutto internamente). In genere è anche il tono più spesso ripetuto in pezza, e infine l'intervallo (o ambitus) che era la tonalità massima proscritto per un dato modo. Gli otto modi potevano essere ulteriormente suddivisi in quattro categorie in base al loro definitivo finalis. Teorici medievali li hanno chiamati coppie maneriae e classificati in base al numero ordinale greco. Quelle modalità che sono d, e, f, g e la loro finale sono inseriti nella protus gruppi, deuterus, tritus, e tetrardus rispettivamente. Questi potevano poi essere ulteriormente suddivisi a seconda se la modalità fosse "autentico" o "plagale".

La teoria della musica medievale e Guido d'Arezzo e l’esacordo

Guido d'Arezzo nacque intorno al 995 d.C. in un villaggio vicino a Pomposa (Ferrara). Entrò nel monastero benedettino dell'abbazia di Pomposa e poi si trasferì ad Arezzo, dove maturò il suo nuovo metodo per l'apprendimento del canto liturgico, che espose al papa Giovanni XIX, il quale ne favorì la propagazione.
Le sue opere:
  • il micrologus de musica, considerato il più importante trattato del Medioevo,
  • il prologus in anthiponarium in cui l'antifonario viene dato nella nuova notazione.
Guido d'Arezzo fu una figura importante nella storia della notazione musicale, soprattutto per l'impostazione del modo di leggere la musica: inventò il tetragramma [16]e utilizzò la notazione quadrata [17].
Inoltre diede un nome ai neumi e ciò perché sosteneva che il cantore doveva conoscere il canto in assenza di una notazione ed essere capace di intonarlo. L'obiettivo di Guido D'Arezzo era quello di trovare un sistema che consentisse al cantore di intonare un canto senza averlo mai visto prima (vedi su). Per imparare le note, bisognava dare loro un nome, dunque il canto doveva essere scisso dal testo. Allora, prese l'inno a S. Giovanni, molto conosciuto perché S. Giovanni era il protettore dei cantori, staccò dal contesto le sillabe e le note iniziali dei versetti costituirono un esacordo:
  • (UT) QUEANT LAXIS
  • (RE) SONARE FIBRI
  • (MI) RA GESTORUM
  • (FA) MULI TUORUM
  • (SOL) VE POLLUTI
  • (LA) BII REATUM
  • (S) ANCTE (J)OANNES

Traduzione: affinché i fedeli possano cantare con tutto lo slancio le tue gesta meravigliose, liberali dal peccato che ha contaminato il loro labbro, o S. Giovanni.
Successivamente, ut, troppo difficile da pronunciare, venne trasformato in do da Giovan Battista Doni, prendendo spunto dall'inizio del suo cognome. Guido D'Arezzo realizzò anche il sistema esacordale che non fu un sistema teorico, ma un metodo didattico, con la funzione pratica di aiutare i cantori ad intonare i canti. Organizzò la successione delle note in esacordi perché la maggior parte dei canti stavano nell'ambito di 6 note ed erano le sei note che stavano nel tetragramma.
Guido d'Arezzo individuò tre tipi di esacordo:

  • Esacordo naturale: do-re-mi-fa-sol-la
  • Esacordo molle: fa-sol-la-sib-do-re
  • Esacordo duro: sol-la-si-do-re-mi
Guido ebbe un'intuizione geniale perché decise di chiamare ut, re, mi, fa, sol, la non solo le note dell'esacordo naturale, che corrispondevano come altezze reali a do, re, mi, fa, sol, la, ma anche le note dell' esacordo molle. In sostanza, siccome un canto stava nell'ambito di un esacordo, se stava da fa a re, Guido faceva intonare ut, re, mi, fa, sol, la anche se l'altezza reale era sol, la, si, do, re, mi. Questo perché tutti e tre gli esacordi hanno il semitono fra il 3° e il 4° suono. Chiamando tutti gli esacordi ut, re, mi, fa, sol, la, il semitono cadeva e veniva chiamato sempre mi-fa, quindi il cantore sapeva che, quando intonava mi-fa, aveva un semitono, quindi se c’era un canto che andava dal sol al mi, i cantori cantavano ut, re, mi, fa, sol, la e sapevano che quando cantavano mi-fa dovevano fare un semitono. Con Guido d'Arezzo nasce l'idea che utilizzando una notazione leggo le note e imparo un canto, quindi lo posso fare anche da solo, senza bisogno che qualcuno me lo insegni. Tutto funziona benissimo finché il canto sta nell'ambito di un esacordo. A questo punto si pone il problema della mutazione cioè il problema di cambiare, di mutare il nome delle note. Allora Guido D' Arezzo stabilì a che punto si doveva cambiare il nome delle note e fissò questa regola da un 1° esacordo ad un secondo esacordo. Si cambiava l'altezza del semitono in modo che il semitono venga sempre chiamato mi-fa. Quindi tutte le volte che si passa da un esacordo all'altro, quindi tutte le volte che c’è la mutazione, la successione è sol- mi- fa. Questo è il motivo per cui questo metodo si chiama solmisazione. I suoni assumevano, così, nomi diversi in base al posto che occupavano nel sistema degli esacordi: ad esempio, il primo sol veniva chiamato "ut"; il secondo "sol-re", poiché nel passaggio tra il primo esacordo ed il secondo, il la, seguito da sibem, veniva chiamato mi e di conseguenza il sol diventava re; il terzo sol, poi, veniva chiamato "sol-re-ut", perché nel passaggio dal secondo al terzo esacordo (che conteneva sibeq-do), il sol diventava ut.
Per facilitare ai cantori la pratica della solmisazione venne inventata la mano guidoniana : sulla mano sinistra veniva messa la notazione alfabetica di Oddone da Cluny (= lettere maiuscole = ottava grave; minuscole = ottava media; doppie minuscole = ottava acuta). Guardando questa mano doveva essere più facile praticare la solmisazione. La mano guidoniana aiutava, dunque, la pratica della solmisazione.

Ugolino da Orvieto

Con il passare del tempo, vennero tentate altre vie di notazione: in particolare, nel (XV secolo) si ricorda il forlivese Ugolino da Orvieto: infatti, dalle testimonianze ricaviamo che fu: "Glorioso musico e inventor delle note sopra gli articoli delle dita delle mani", e dunque "Uomo famoso

 


 

 


Figura 12 - La mano guidoniana

Le monodie sacre e profane

Fuori dalla Chiesa, nel Medioevo, esistevano due tipi di produzione di musica: sacra e profana. La Chiesa, nel momento in cui impose il proprio potere culturale, vietò o mise al bando tutte le forme di produzione artistica che prescindevano dalla chiesa e, di conseguenza, tutta una vasta produzione poetica (Ovidio, Orazio, Virgilio) inizialmente in latino e poi anche in volgare, che si produsse nel Medioevo, spesso accompagnata dalla musica.
Poi cominciò a nascere una produzione autonoma, per esempio vi fu un Planctus Karoli (cioè pianto di Carlo) che è un lamento funebre scritto per la morte di Carlo Magno, di cui sappiamo esistere una versione musicale. Abbiamo anche il canto "Roma Nobilis" che era un canto di pellegrini che andavano verso Roma; si è scoperto che la melodia di questo canto era utilizzata anche per un testo profano: " "O admirabilis Veneris idolum". Dunque c’era l'utilizzazione contemporanea di una medesima melodia tanto per un canto (testo) sacro quanto per un testo profano. Vi sono, poi, dei primi esempi in volgare come "il canto delle scolte modenesi" che erano delle guardie. Anche questo aveva una sua destinazione musicale.
Di tutte queste composizioni non ci è pervenuta la melodia e nemmeno la melodia dei famosi "Carmina Burana". Sappiamo soltanto che fino al 1100 circa ci fu questa produzione, inizialmente su testi latini, poi su testi in lingua volgare e man mano che si andò avanti molti di questi testi erano di provenienza ecclesiastica, proprio perché la formazione culturale avveniva esclusivamente in ambito ecclesiastico.
La storia della musica, al di fuori della chiesa, è principalmente legata, ancora una volta, alla storia della letteratura europea nel senso che nel momento in cui nasce la letteratura volgare, quella che chiamiamo "letteratura romanza", nasce per la musica e nell'ambito del sistema feudale, per l'organizzazione che Carlo Magno e i suoi eredi diedero all'immenso territorio del Sacro Romano Impero.
Il feudalesimo diede un assetto sociale, economico e politico all'intero territorio del sacro romano impero, quindi diede anche una certa stabilità. Questo provocò la graduale trasformazione della fortezza militare, del castello, in corte, ove nacque la prima produzione della letterature europea: la lirica cortese.
È una lirica incentrata prevalentemente sul tema dell'amor cortese e il rapporto fra la donna e il suo amante non è altro che la riproduzione del rapporto di vassallaggio fra il vassallo e la sua Signora, musa e Domina.
La forma principale di questa lirica d'amore fu la canso costituita da un vario numero di strofe, precedute da una volta.
I poeti vennero chiamati trobador (facitore di tropi).
Il trobar plan era un modo di scrivere poeticamente abbastanza semplice. Il trobar rich era un modo di poetare più complesso, il trobar clus era un modo di poetare chiuso, nel senso che se non si conosceva una chiave di lettura, era impossibile leggere, decodificare il testo poetico. I testi poetici erano fatti dai trovatori, poeti provenzali, e non venivano letti o recitati, ma cantati da menestrelli e giullari, musicisti di provenienza perlopiù popolare. Il primo trovatore fu Guglielmo IX d'Aquitania. Altri furono:
  • Ebolo II di Ventadorn, il creatore dell'ideale di vita cortese e caposcuola della tradizione trobadorica. Della sua opera non è rimasto nulla;
  • Marcabruno di Guascogna, autore di 43 composizioni, aspre e sottili, soprattutto sirventes e 4 melodie;
  • Jaufré Rudel, principe di Balja, rimatore dolce e leggiadro. Di lui possediamo 6 poesie amorose di cui r con la musica;
  • Giraut de Bornelh, considerato da Dante, insieme ad Arnant Daniel, fra i maggiori poeti provenzali,
  • Raimbaut de Vaqueiras. Fu uno dei più originali artisti del tempo. La sua attività di trovatore si svolse in Italia, alla corte di Bonifacio I di Monferrato;
  • Peire Vidal, di cui abbiamo 12 composizioni. Viaggiò molto e fu anche in Italia;
  • Folquet di Marsiglia: di padre genovese, morto nel 1231, fu Autore di 13 composizioni;
  • Uc de Saint Circ, vissuto in Italia alla corte di Alberico da Romano. Fu l'autore della vidas di numerosi trovatori: testimonianze biografiche di scarsa affidabilità;
  • Arnant Daniel, di cui abbiamo due testi musicati.
  • Tra tutti il più importante e famoso fu Bernard de Ventadorn, che viene considerato uno dei più ispirati poeti del mondo trobadorico. La cosa interessante fu che i "canzonieri", cioè le raccolte di canzoni di questi trovatori, ci hanno tramandato circa 2600 testi poetici, dei quali ci sono pervenute solo 300 melodie.
La disparità fra il gran numero di testi e il ridotto numero di melodie si spiega perché l'ispirazione è uguale esattamente a quella della lirica greca: i testi poetici erano scritti, mentre le melodie legate a schemi melodici fissi ed ad una sorte di memorizzazione di tradizione orale.
Accanto alla canso ci furono delle altre forme poetiche dei trovatori come il jeu parti, una sorta di dialogo, oppure l'aube, il commiato mattutino di due amanti, il sirventes, una canzone di contenuto politico, morale o allegorico.
Nel nord della Francia, intanto, si erano sviluppate due forme letterarie di tipo narrativo: la "chanson de geste" che narrava le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini, poi passata nella narrativa popolare. Era in versi e, secondo alcuni, veniva declamata.
Il romanzo cavalleresco che raccontava le gesta di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda ed era in prosa.
Con il romanzo cortese nacque un nuovo rapporto tra il destinatario e il testo letterario, fondato sulla lettura. Nella nuova lingua, quella francese, la canso diventò chanson, il jeu parti jeu parti e l'alba divenne aube.
Accanto a queste forme ne nacquero delle altre di tipo narrativo, per esempio la chanson de toile, una canzone in cui una donna che tesse racconta una storia. È una lirica di contenuto narrativo che risponde ad un'esigenza di narrazione molto sviluppata nelle corti della Francia settentrionale. C’è poi la tradizione di testi poetici con ritornello, che derivavano dalle musiche di danza. Questi testi sono: Ballade, rondeau e virelai. Gli stessi termini denunciano la provenienza dalla danza. Ballade, infatti, vuol dire ballata, rondeau viene da "ronder" che vuol dire girare e virelai viene da "viler" che vuol dire anche girare.
Con il matrimonio di Beatrice di Borgogna con Federico Barbarossa la lirica francese venne portata in Germania, dove nacque la tradizione del lied, l'equivalente tedesco della chanson francese e della canso provenzale. I trovatori provenzali, diventati trovieri francesi, vennero chiamati Minnesanger (minne = amore e sang = canto) ed erano poeti aristocratici che scrivevano testi poetici.
La differenza tra il lied tedesco a la tradizione francese provenzale è che nel lied tedesco c’è una concezione molto più spirituale dell'amore rispetto alla forte componente sensuale della lirica francese. La prima scuola poetica italiana fu quella siciliana. I poeti di quest’ultima erano i poeti della cerchia di Federico II e, diversamente dai trovatori e dai trovieri, la loro formazione scolastica non era avvenuta perlopiù in ambito ecclesiastico. Per la prima volta in Italia, la poesia volgare nasce in un ambito nel quale la musica non è coltivata. Di conseguenza, in Italia, nel corso del 1200, si determina la frattura fra la poesia e la musica che sarà, in parte, recuperata con l'ars nova e con Dante, nella cui opera "Divina commedia" c’è un'ampia allusione alla pratica della poesia per musica.
Le poche melodie di lirica trobadorica che ci sono pervenute risalgono al 1300 circa. Questo perché si sentì l'esigenza di mettere per iscritto una parte di questo patrimonio. A questo punto si è posto il problema dell'interpretazione ritmica di questi testi musicali, perché il canzoniere dei trovatori e dei trovieri ci è pervenuto in notazione quadrata guidoniana, che non dava alcuna informazione ritmica. Ci sono state varie ipotesi, una di queste è stata quella di applicare i modi ritmici. Questa tesi è stata smentita da due fattori:
Tutti quelli che hanno tentato di trascrivere con i modi ritmici hanno ottenuto risultati diversi;
I mottetti scritti da Adam de la Halle, sono in notazione modale, quindi se A. de la Halle avesse usato una notazione modale, l'avrebbe usata anche per le composizioni profane. Tuttavia questo non è accaduto, quindi l'ipotesi dei modi ritmici è sfumata.
Adam de la Halle fu un poeta francese che, ad un certo punto, si trasferì a Napoli al servizio degli Angioini, presso i quali concepì una operina in miniaure: le jeu de robin et marion che è una pastorella drammatica; la pastorella era una lirica in cui si immaginava l'incontro di un cavaliere con un pastorella. La soluzione che oggi viene ritenuta più convincente sul ritmo del canto dei trovatori e dei trovieri è quella proposta da uno studioso fiammingo che si chiama Von der Werf che dice: "..bisogna intonare questi testi mantenendo lo stesso ritmo che avrebbero, se venissero declamati". Il ritmo di questi testi, dunque, deve essere quello della declamazione.
Accanto al canto gregoriano, praticato in ambito liturgico, si sviluppò una produzione musicale sacra che non era legata alla liturgia. Si tratta di una produzione in latino data dall'ufficio drammatico (e poi dal dramma liturgico) e di una tradizione in volgare, data dalle laudi. Nel Medioevo, all'interno della liturgia, si cominciarono a teatralizzare rievocazioni del testo sacro che lo consentivano. Questa prima fase della teatralizzazione di momenti del testo sacro prese il nome di ufficio drammatico, perché la teatralizzazione avveniva nell'ambito di una celebrazione liturgica.
Il passo successivo fu la nascita del dramma liturgico che fu una vera e propria rappresentazione teatrale, realizzata sull'altare della chiesa, in cui i chierici vestivano i panni di attori. Il dramma liturgico fu una rappresentazione teatrale ispirata alla tradizione del vecchio e del nuovo testamento e interamente cantato. Il passaggio dall'ufficio drammatico al dramma liturgico risulta evidente se si prende in considerazione il primo ufficio drammatico, "quem quaeritis?, un tropo che si cantava nel mattutino pasquale. Il mattutino è quel momento della liturgia delle ore che riguarda l'inizio, una delle prime ore del giorno di Pasqua. Questo tropo era un canto interamente inventato che rievocava l'incontro dell'angelo con le pie donne. Questo nucleo dialogico venne teatralizzato, dunque diventò un ufficio drammatico. Quando dal canto teatralizzato si passò alla rappresentazione vera e propria in cui all'angelo e alle pie donne si aggiungono altri personaggi, nasce il dramma liturgico che prende il nome di Ludus Paschalis perché la parola che venne utilizzata per indicare questi drammi di norma fu Ludus, gioco. Fra l'altro, si tenga conto che il rapporto fra la teatralità e il gioco è molto diffuso nelle lingue non italiane.
Il ludus Danielis rievoca la vicenda di Daniele e della fossa dei leoni ed è una rappresentazione molto interessante perché è il più grandioso dramma liturgico. Prevede molti personaggi in scena, la presenza di strumenti accanto alle voci ed ha un numero molto alto di melodie di varia provenienza.(gregoriana, ma anche melodie più vicine alla tradizione della lirica volgare).Inoltre, il ludus Danielis ha delle parti in volgare perché i fedeli ormai parlavano in volgare e, quindi, in una rappresentazione teatrale che doveva raggiungere direttamente il fedele in una rappresentazione teatrale si sentì la necessità di inserire parole, frasi o parti in lingua volgare. A questo inserimento della lingua volgare si accompagnò la tendenza di inserire delle parti comiche che vennero legate in particolare ad alcuni personaggi. Ad esempio San Pietro era esposto alla comicità. Questo provocò una reazione della chiesa che, ad un certo punto, vietò che i drammi liturgici, divenuti troppo profani, si facessero all'interno della chiesa. Questi drammi liturgici, quindi, vennero spostati sul sagrato della chiesa e divennero sacre rappresentazioni.
La sacra rappresentazione è una rappresentazione di contenuto sempre sacro, legato ad una vicenda sacra. Si rappresentava fuori dalla chiesa, sul sagrato, ed era in lingua volgare. Col passare del tempo, nel Medioevo, il testo della sacra rappresentazione assume una precisa versificazione, quella in ottave di endecasillabi . Delle sacre rappresentazioni bisogna ricordare che si trattava di un teatro che non rispettava i principi del teatro classico, cioè di unità di tempo di luogo e di azione che si sarebbero applicate a partire dal 1400, quando venne scoperta la poetica di Aristotele e quindi si applicarono i principi diciamo classicisti.
Accanto al dramma liturgico e alla sacra rappresentazione, dobbiamo ricordare come funzione musicale di contenuto sacro uno extra liturgico, le Laudi. Il loro sviluppo va letto all'interno di una grande fioritura religiosa che avvenne nel corso del 1200, legata in gran parte anche alla diffusione del movimento francescano. Infatti è il cantico delle creature di S. Francesco, di cui si sa che esistesse una traduzione musicale, che noi non possediamo. Più avanti si costituirono addirittura delle confraternite. Preposte proprio all'esecuzione di laudi furono le confraternite di laudi, le cui raccolte vennero chiamate laudari. Col passare del tempo, la lauda assunse la forma metrica della ballata e tra queste ricordiamo due laudari che ci sono pervenuti:
  • Laudario di Cortona
  • Codice della Biblioteca Magliabechiana di Firenze;
Sono due laudari in parte simili (le melodie derivano tutte da un protolaudario, cioè da un modello originario), ma anche molto diversi (le melodie del laudario, che si trova nella Biblioteca Nazionale di Firenze, sono molto più fiorite e i manoscritti in cui si trovano queste melodie sono molto più ricchi eleganti e miniati rispetto a quelle del laudario di Cortona).

La notazione medievale (vedi sopra per chiarimenti)

La trasmissione orale del canto gregoriano non impedì l'utilizzazione, dal punto di vista teorico, di una scrittura alfabetica medievale, che, a differenza di quella greca, utilizzò le lettere dell'alfabeto latino. La notazione che venne utilizzata fu quella di Oddone da Cluny. Si tratta di una notazione tuttora impiegata nei paesi anglosassoni, che utilizza le lettere dalla A alla G, per indicare la successione dei suoni dal La al Sol. Le lettere maiuscole si riferiscono alla prima ottava (quella più bassa), le lettere minuscole alla seconda ottava(ottava intermedia).Per quanto riguarda il si, nota mobile, si utilizzava il si dai contorni rotondi se bemolle, mentre il si dai contorni quadrati se naturale . Dal punto di vista pratico, per facilitare le memorizzazione dei canti, si posero degli accenti (neumi) sul testo, che ricordavano, a chi cantava o leggeva il testo, l'andamento della melodia. E poiché in greco l'accento si chiama neuma, questa notazione venne chiamata neumatica. Inizialmente, gli accenti furono l'accento acuto (), l'accento grave (), circonflesso () e l'anticirconflesso (). Gli vennero dati anche nomi, quali, ad esempio, notazione in campo aperto (perché i neumi erano liberamente posti sul testo), notazione adiastematica (da "diastema" = intervalli + "a privativa, cioè incapace di indicare l'altezza precisa dei suoni, ma solo l'andamento della melodia) e notazione chironomica (da "cheiros" = mano, perché riproponeva, in pergamena, il movimento della mano del "precento" (= direttore d'orchestra), che guidava il coro.
Le notazioni si complicano in ordine decrescente: la notazione di S. Gallo e quella di Metz sono molto più complesse della notazione inglese, in quanto offrono una grande quantità di informazioni supplementare sulle sfumature esecutive;
La notazione aquitana presenta segni dislocati nello spazio, dunque, pur essendo ancora adiastematica, suggerisce la disposizione delle note, grazie alla disposizione spaiale dei neumi. I neumi utilizzati dalla notazione aquitania hanno forma quadrata, che sarà la forma delle notazioni successive.
Un momento decisivo nell'evoluzione della scrittura musicale fu quello in cui un ignoto copista tracciò una linea a secco, senza inchiostro, sulla pergamena. Prima di questa linea pose la lettera C (= Do, nella notazione alfabetica medievale). I neumi che stavano sopra della linea erano al di sopra del do, mentre quelli che stavano sotto erano al di sotto del do. Successivamente venne aggiunta una seconda linea, prima della quale venne essa la lettera "G" (che indicava il sol) ed una terza linea, preceduta dalla lettera F (che indicava il Fa). L'evoluzione di queste lettere ha portato alla nascita delle chiavi di Do, Sol e Fa. Inizialmente ogni linea aveva la sua chiave ed era colorata, per essere distinta della altre. Il punto di arrivo di questo tentativo, di questo sforzo di trovare una notazione che indicasse l'altezza reale dei suoni, quindi che non si limitasse ad indicare l'altezza della melodia fu appunto la notazione quadrata guidoniana, una notazione costituita da quattro linee e tre spazi (= tetragramma). La 5° linea nacque quando si sviluppò un canto più ampio dal punto di vista melodico. La chiave utilizzata era una sola. Dal punto di vista della forma dei neumi, questa notazione deriva da quella aquitana.
Precisiamo che con il termine neuma si indica la nota o il gruppo di note che corrisponde ad una sillaba. Quando la sillaba è resa da una sola nota grave, si ha il punctum; quando, invece, è resa da una sola nota acuta, si ha la virga.
La tavola dei neumi di S. Gallo fu formulata dai benedettini di Solesmes. Prevede una lettura in senso verticale e una in senso orizzontale:
Nella lettura in senso verticale vengono raggruppati i neumi che derivano dagli accenti, i neumi che derivano dall'oriscus e neumi che derivano dall'apostrofo. 1.I neumi che derivano dagli accenti: i più importanti sono il punctum, che è una singola nota al grave, e la virga, che è una singola nota all'acuto. I neumi che derivano da più note: i più importanti sono:
  • il podatus o pes, che indica due note ascendenti, perché è dato dall'unione del punctum con la virga;
  • La clivis, che indica due note discendenti ed è data dall'unione di un accento acuto, che indica la nota più alta, e dall'unione di una virga con un punctum, che indica la discesa;
     
I neumi di tre note sono:
  • Climacus: indica 3 o più note discendenti ed è reso da una virga con due punctum;
  • Scandicus: è dato da tre note ascendenti ed è reso da un punctum e una virga;
  • Torculus: è una nota acuta fra due gravi;
  • Porrectus: è una grave tra due acute;
La particolarità di questi segni è che devono essere pronunciati senza separazione.
I neumi che derivano dall'apostrofo: indicano note ribattute;

I neumi che derivano dall'oriscus

Nella lettura in senso orizzontale, invece, si hanno i vari modi con cui un neuma può essere modificato. Normalmente un neuma poteva essere modificato, nella sua forma o per mezzo di lettere, per indicare un mutamento nell'esecuzione. Le lettere utilizzate erano la "t" e "c", che significano rispettivamente "tenete" (= il neuma deve essere allungato) e "celerite" (procedere rapidamente). Un neuma poteva essere allungato anche aggiungendo un piccolo segnale, un piccolo trattino detto episema.
Poi abbiamo un particolare tipo di intervento sulla scrittura, lo stacco neumatico. Con esso si nota che il tropatore, mentre sta scrivendo, improvvisamente stacca la penna. Si vede, quindi, un pezzo bianco. Lo stacco neumatico evidenzia un momento di respiro. C’è poi un ultimo carattere che è la liquescenza che veniva posta sopra sillabe particolarmente complesse, per esempio, sopra le sillabe che presentavano scontri consonantici. Quando questo segno veniva posto sopra queste sillabe, il cantore sapeva che doveva ridurre il volume della voce in modo da non far percepire eccessivamente lo scontro consonantico. Così facendo, il carattere aspro, sgradevole di queste sillabe veniva ridotto. Il quilisma è un segno neumatico che si trova quasi sempre nel mezzo di una terza ascendente. Indica una nota di transizione cantata con voce leggera e flessibile. Questi vari tipi di neumi legati alla notazione di S. Gallo ritornano uguali nella notazione quadrata guidoniana, quindi una singola nota grave viene indicata da un singolo neuma quadrato. La differenza fra neuma quadrato e neuma di S. Gallo è che il neuma di S. Gallo, da cui il neuma quadrato deriva, non dava l'altezza, mentre il neuma quadrato indica l'insieme delle note che vanno sulla sillaba, ma ci da anche la loro altezza precisa. Analizzando un brano in scrittura quadrata vediamo che ci sono delle stanghette. La stanghetta alta più piccola divide due incisi, la stanghetta che sta nel mezzo del tetragramma separa due frasi, la doppia stanghetta indica l'alternarsi di un coro con l'altro o del coro col solista.
Se si confronta la versione in notazione quadrata guidoniana con quella di S. Gallo e di Metz, possiamo dire che la notazione quadrata guidoniana guadagna in precisione, perché chi legge sa l'altezza precisa dei suoni, ma perde in ricchezza di informazioni. Quindi quello che si ottiene in precisione si perde sul piano delle informazioni espressive. Per questo i professionisti che seguono il canto gregoriano, leggono contemporaneamente la notazione quadrata e le due scritture più complesse.
Parlando della polifonia, quando si cominciano ad utilizzare lo stile di discanto, si sente la necessità di fare un'organizzazione ritmica più rigorosa che viene data da 6 schemi ritmici che nacquero dalla prassi musicale. Questi sei schemi ritmici furono tutti caratterizzati dalla suddivisione ternaria per il discorso trinitario. Nel momento in cui questi schemi vennero codificati per acquisire una maggiore legittimità culturale, si utilizzarono i piedi della metrica classica, quindi il primo modo fu dato da una virga e da un punctum.
  • 1° modo: longa brevis
  • 2° modo: brevis e longa
  • 3° modo: longa, brevis, brevis
  • 4° modo: brevis, brevis, longa
  • 5° modo: longa, longa
  • 6° modo: brevis, brevis, brevis

Detto questo, che si trattasse di un'applicazione artificiosa a dei modelli ritmici preesistenti è dimostrato dal fatto che, in alcuni casi, il piede della metrica greca corrisponde al ritmo effettivo, mentre in altri casi no. Ogni voce aveva il suo modo ritmico, per esempio la voce di tenor di una composizione sempre al 5° modo, cioè il canto gregoriano al tenor veniva dato sempre con la scansione ritmica che camminava meno velocemente delle voci superiori alle quali venivano dati altri schemi ritmici un po’ più movimentati. Era essenziale nell'organizzazione di un modo ritmico l'Ordo(= ordine). Gli ordines consistevano nell'indicare quante volte si doveva ripetere uno schema ritmico prima di una pausa.
La suddivisione della longa viene detta Modus. Il modo è perfectus se la longa è divisa in 3 brevis, imperfectus se la longa è divisa in due brevis. La suddivisione della brevis viene chiamata tempus, detto perfectum se è divisa in tre e imperfectum se è divisa in due semibrevis. La suddivisione della semibrevis viene chiamata Prolatio e si dice Maior se la semibrevis è divisa in 3 minime e minor se la semibrevis è divisa in due minime. In Italia abbiamo, inoltre, una notazione dell'ars nova italiana che deriva da quella francese, ma che è un po’ più complessa. Questa notazione venne impostata da Marchetto da Padova in un trattato chiamato "Pomerium in arte musicae mensurate". In essa viene aggiunta anche la semiminima e le varie suddivisioni delle varie figure, dalle più grandi alle più piccole, sono ancora più complesse di quelle dell'ars nova francese. Inoltre, vi erano delle scritture nere e bianche.

I trovatori

I trovatori furono poeti attivi nei secoli XII e XIII nelle corti aristocratiche della Provenza, regione attualmente appartenente alla Francia. Successivamente, trobadori si possono ritrovare in Francia, Catalogna, Italia settentrionale, ma vengono a esser influenzate tutte le scuole letterarie d'Europa: la scuola siciliana, toscana, tedesca, scuola mozarabica e portoghese. Fra i più noti si ricordano:
  • Bernard de Ventadorn
  • Jaufré Rudel

Ars antiqua

Con il termine Ars Antiqua (o Ars Vetus) è indicato quel periodo convenzionale della Storia della musica anteriore al XIV secolo nel corso del quale in Italia e in Francia venne gradatamente recepita la "riforma" compositiva e musicale, iniziata da Philippe de Vitry e da Marchetto da Padova, chiamata provocatoriamente Ars nova. Fra gli esponenti più rilevanti si citano:
  • Adam de la Halle
  • Francone da Colonia
  • Petrus de Cruce

Scuola di Notre Dame

La Scuola di Notre Dame o Scuola di Parigi fu una scuola musicale al servizio della cattedrale di Notre Dame di Parigi, nella quale tra il XII secolo e gli inizi del XIII, si sviluppò la polifonia. Gli unici esponenti a noi noti sono:
  • Leonin
  • Perotin

L’Ars Nova

Ars Nova è la locuzione con cui si indicò nel XIV secolo un nuovo sistema di notazione ritmico-musicale in contrapposizione a quello dei secoli precedenti. L'Ars Nova si sviluppò quasi contemporaneamente in Francia e in Italia, all'inizio del XIV secolo. Nel 1377 l'Ars Nova francese e italiana si fusero: nella notazione di Marchetto da Padova, per esempio, si inseriscono le figure ritmiche di Vitry (come spiegato più avanti nel paragrafo Il cambiamento della notazione musicale), la ballata diventa a 2 voci e quasi sostituisce il madrigale.

Ars nova francese
Principali esponenti:
  • Philippe de Vitry
  • Guillaume de Machaut

 

Ars nova italiana

  • Marchetto da Padova
  • Francesco Landini
  • Jacopo da Bologna


Figura 13 - Machaut (a destra) riceve Nature e tre dei suoi bambini, da una illustrazione di un manoscritto parigino del 1350

Fonti bibliografiche

Bibliografie esterne

  • (IT) Giacomo Baroffio, Cantemus Domine gloriose. Introduzione al canto gregoriano, Urban, 2003.
  • IT) Daniel D. Saulnier, Il canto gregoriano. Storia, liturgia, tecniche di esecuzione., Piemme, 2003.
  • (IT) Emidio Papinutti, Lo spirito del canto gregoriano, Urban, 2003.
  • (IT) Willi Apel, Il canto gregoriano. Liturgia, storia, notazione, modalità e tecniche compositive., LIM, 1998.
  • (IT) Raffaele Arnese, Storia della musica del Medioevo europeo, Olschki, 1983.
  • (IT) Elena Ferrari Barassi, Strumenti musicali e testimonianze teoriche del Medioevo, Fondazione Claudio Monteverdi, 1979.
  • (IT) AA. VV., L'Ars Nova italiana del Trecento, Forni, 1970.
     

Note


[1] Flauto di Pan: Il flauto di Pan o pipa di Pan, è un antico strumento musicale basato sul principio del tubo chiuso, costituito in genere da cinque o più tubi di lunghezza progressivamente crescente. Il flauto di Pan è stato a lungo conosciuto come uno strumento popolare, ed è considerato il primo organo a fiato, antenato dell’organo a canne e dell'armonica. Il flauto di Pan è chiamato per la sua associazione con il dio greco Pan. Le canne del flauto di Pan sono in genere a base di bambù o di canna da gigante; gli altri materiali usati sono legno, plastica e metallo. I tubi che lo compongono sono fermati ad una estremità, in cui l'onda si riflette in piedi dando una nota di una ottava più bassa di quella prodotta da un tubo aperto di uguale lunghezza. Il flauto di Pan è giocato soffiando orizzontalmente attraverso l'estremità aperta contro lo spigolo interno dei tubi. Ogni tubo è sintonizzato su una nota chiave, detta frequenza fondamentale.
[2] Mandora: è una specie di liuto, usato soprattutto nel rinascimento. È anche noto come mandola. La mandola è uno strumento musicale a plettro appartenente alla vastissina famiglia dei liuti, discendenti dall'arabo oud approdato in Europa durante l'età media. È una variante italiana di origine cinquecentesca ed è affine al mandolino che assieme ad essa si è evoluto. Nella sua variante contemporanea, la mandola, a parte proporzioni maggiori, consta di quattro cori all'unisono accordati per quinte. La mandola tenore, più comune, presenta la stessa accordatura del mandolino (sol, re, la, mi), un'ottava sotto; invece la mandola contralto, più rara, è accordata, come la viola, una quinta sotto al mandolino (do, sol, re, la). Per tale ragione la seconda trova talora impiego nelle orchestre a plettro dove può ricoprire il ruolo che la viola svolge in orchestra. Tuttavia, l'apprezzamento di cui lo strumento ha goduto nella tradizione popolare ha finito per favorire la mandola tenore (o mandola tout-court), che per la sua accordatura permette a un mandolinista di passare su questo strumento senza cambiare diteggiature. Può assolvere funzioni melodiche, armoniche e ritmiche. Il suo utilizzo nella musica celtica è piuttosto recente. In questa tradizione musicale, sotto influsso dell'Irish bouzouki, i due cori più gravi possono essere accordati all'ottava. Recenti sono pure le modifiche della forma a goccia, che facilita l'esecuzione sulla parte alta della tastiera, e del fondo piatto, che ne facilita la produzione su scala industriale.
[3] Ghironda: Nella seconda metà del XVII secolo lo strumento appare nella corte francese nell'ambito della "moda" pastorale dell'aristocrazia di quegli anni; l'opera del liutaio Henri Bâton, che nei primi anni del secolo successivo sviluppa la ghironda nella sua forma "moderna", permette inoltre l'inserimento della vielle à roue (il nome francese dello strumento) tra gli strumenti da musica da camera. Le ghironde create da Bâton, disponibili nelle forme a chitarra e a liuto, più curate nell'aspetto esteriore e dotate di un'intonazione più precisa, riscuotono largo successo soprattutto tra il pubblico femminile; in breve tempo lo strumento viene ammesso ai concerti e molti fabbricanti di strumenti cominciano a produrlo. Il gran numero di opere d'arte del periodo che raffigurano la ghironda e i molti componimenti eseguiti sono prova della popolarità dello strumento, che tuttavia non ottiene un posto "fisso" all'interno dell'orchestra d'opera; nella seconda metà del secolo, infatti, ritorna ad essere principalmente uno strumento folcloristico.
[4] Neuma: Il neuma (dal greco νεύμα neuma: segno, cenno, ma anche da πνεύμα: soffio, fiato o νόμος: melodia, formula melodica) nel canto gregoriano è un segno della notazione musicale utilizzato a partire dal IX secolo e durante tutto il Medio Evo, fino all'introduzione del pentagramma che sta ad indicare l'insieme di note che si trovano su una unica sillaba. Il neuma trascrive una formula melodica e ritmica applicata ad una singola sillaba. Si parlerà quindi di neuma monosonico se ad una sillaba corrisponde una sola nota musicale o di neuma plurisonico nel caso dell'utilizzo di più note su una singola sillaba. Nel caso del melisma che solitamente caratterizza lo jubilus nel canto dell'alleluia, vengono impiegate anche decine di note in un unico neuma. Il neuma viene quindi distinto dall'elemento neumatico, il quale indica un segno unito in composizione ad altri che lo precedono o lo seguono su una singola sillaba. Contrariamente all'approccio moderno, l'elemento di base del canto gregoriano non è la nota musicale, ma il neuma. Attualmente, nelle moderne edizioni del Canto gregoriano come nel Graduale Triplex, vengono utilizzate sia la notazione quadrata che la notazione sangallese e la notazione metense per offrire una lettura sinottica.
[5] Virga: La virga (dal latino bastone) è un neuma elementare, insieme al punctum, utilizzato nel canto gregoriano.
Nella notazione quadrata è dotata di una coda verso il basso. La virga è presente anche come elemento neumatico in numerosi neumi composti e corrisponde sempre alla cima melodica del neuma e più spesso anche all'accento ritmico. La virga è un resto grafico dell'epoca dove solo il senso di variazione della melodia veniva notato graficamente con un accento acuto / dalle note che indicavano una elevazione, ed un accento grave \ dalle note che indicavano un abbassamento in rapporto al resto di una parola per i canti sillabici o di neumi per i canti neumatici.
L'accento grave si è poi trasformato graficamente in un piccolo tratto orizzontale - più o meno ridotto ad un punto, l'accento acuto ha conservato il suo disegno e ha dato origine alla barra verticale della virga. La virga può apparire in due diversi contesti: come indicazione melodica o come indicazione ritmica. Sopra una sillaba isolata indica una altezza melodica, più alta della nota che la precede o che la segue. Questa indicazione, che era importante nella notazione corsiva, non è più significativa nella notazione diastematica sul tetragramma, dove l'altezza della nota è evidente. Logicamente non è più stata riscritta nelle notazioni "quadrate", sia vaticane che di Solesme, ma è frequentemente presente nelle trascrizioni corsive del Graduale Triplex. All'inizio di un gruppo neumatico, la virga isolata gioca un ruolo ritmico importante per segnalare due attacchi consecutivi. In questa posizione (per esempio, qui, sulla prima parola dell'Alleluia Ostende nobis), è generalmente trascritta da una virga dall'edizione vaticana e questa virga è solitamente puntata nelle edizioni di Solesmes. È una nota importante che deve supportare l'attacco e forte tanto in intensità che in durata. La nota che la segue ugualmente una nota d'attacco, ma generalmente più breve.
[6] Punctum: (dal latino punto) è il neuma più elementare, insieme alla virga, utilizzato nel canto gregoriano. Esso corrisponde ad una nota isolata. Il punctum può comparire anche nella notazione di un neuma composto, di solito per segnare dei neumi subpunctis o praepunctis. In queste stesse posizioni, il 'punctum inclinatum è una forma in losanga utilizzato nella notazione quadrata gregoriana dei neumi composti quindi in posizione non isolata. L'accento grave della notazione accentuata si è trasformato graficamente col tempo in un piccolo tratto orizzontale più o meno ridotto ad un punto, da cui è risultato il punctum ed il tractulus più largo, che è in effetti un punctum episemato. Le due forme sono ben distinte nelle notazioni corsive di san Gallo e di Laon, come li si può vedere nel Graduale triplex, ma non sempre sono distinte con l'episema nelle edizioni di Solesme. Quando è isolato su una sola sillaba, il punctum si oppane come nota grave nei movimenti melodici, in opposizione alla virga più acuta. Il punctum ha un valore leggero, neutro. Le note corrispondenti si fondono in un movimento collettivo che può dunque essere rapido.
Al contrario, il tractulus ha un valore sillabico pieno (è la versione episemata del punctum), e ogni nota del movimento deve essere cantata nella sua individualità, perciò più lentamente. Le serie solitamente sono omogenee, ma talvolta si incontra delle discese miste dove il tractulus posto alla fine di un inciso (ed è ugualmente episemato in certi manoscritti. Al contrario, talvolta si incontrano casi di clivis subbipunctis , dove i due primi punti di una discesa sono dei tractulus episemati ed il resto ha un valore leggero di punctum. Non è il caso di raddoppiare la durata di un punctum in rapporto ad un tractulus: per un ritmo di base "limite" dell'ordine di 150 note al minuto, un lieve rallentamento (120/min) pone dinnanzi l'individualità delle note, quando una leggera accelerazione (180/min)pone innanzi un movimento d'insieme. Giocando da una parte all'altra di questo limite, è possibile restituire queste sfumature senza rompere il legato ritmico d'insieme.
[7] Gravis: Grave in musica è un'indicazione di tempo, lento e quasi marziale. Solitamente si trova all'inizio della composizione perché viene usato come introduzione lenta, di contrasto al tempo veloce che lo segue. Grave è anche, allo stesso tempo, un'indicazione d'espressione e di approccio allo strumento musicale. Grave può anche indicare un suono basso (ovvero di bassa frequenza).
[8] Breve: In ambito musicale, la breve è una nota musicale del sistema tonale occidentale, del valore di 8/4 di semibreve. È rappresentata da un rettangolo vuoto o, più recentemente, con un ovale vuoto tra due barre laterali. La figura veniva usata fino al 1500. Un simbolo collegato è utilizzato per la pausa di breve, una pausa della durata di 8/4 di semibreve.
[9] Semibreve: La semibreve, nel sistema tonale occidentale, è il valore 1/1 di una nota musicale o di una pausa musicale. Questo valore, a seconda del tempo in cui è posto, come ad esempio gli equivalenti 2/2 o 4/4 può essere pensato quindi frazionato in 2 o 4 pulsazioni. Quando è inserita in un tempo "alla breve" (cioè 2/1, esattamente il suo doppio, lei diventa la metà) invece vale 1 pulsazione. La semibreve è la figura di valore con la durata più lunga. Rappresenta infatti l'intero (4/4). È rappresentata da un cerchio (o ovale) vuoto.
[10] Lunga: In ambito musicale, la lunga è una nota musicale del sistema tonale occidentale, del valore di 16/4 di semibreve. È rappresentata da un rettangolo vuoto con un'asticella verticale sul lato destro (se rivolta in alto) o sul lato sinistro (se rivolta in basso). Un simbolo collegato è utilizzato per la pausa di lunga, una pausa, raramente impiegata, della durata di 16/4 di semibreve. Entrambe sono cadute in disuso.
[11] Minima: La minima, nel sistema tonale occidentale, è una figura musicale (nota o pausa) il cui valore è la metà della semibreve, cioè 1/2,o 2/4. La metà della minima è la semiminima. È rappresentata da un cerchio (o ovale) vuoto con un'asticella verticale sul lato destro (se rivolta in alto) o sul lato sinistro (se rivolta in basso). Il termine minima deriva dal latino minimus con cui si indicava il valore musicale più breve.
[12] Prolazione: è un termine usato nella teoria della musica medioevale per descrivere la sua struttura ritmica su di una piccola scala. Il termine deriva dal latino prolatio, usato per la prima volta da Philippe de Vitry nel descrivere l'Ars nova, uno stile musicale che si sviluppo in Francia nel XIV secolo. La prolazione assieme al tempus corrispondeva a quello che oggi è il tempo nella musica moderna. La prolazione descriveva se una semibreve era uguale a due minime (prolazione minore o prolazione imperfetta) o se era uguale a tre minime (prolazione maggiore o prolazione perfetta). La musica medioevale era spesso suddivisa in triadi, mentre nella notazione moderna tale valore è inequivocabilmente suddiviso in due parti, a significare che soltanto la prolazione minore è sopravvissuta nel nostro sistema musicale. Noi oggi indichiamo tale valore modificando il valore di una nota con un punto (punto di valore) o con una terzina. La stria della musica medioevale mostra un graduale passaggio dalla prolazione maggiore a quella minore.
[13] Polifonia: Con il temine polifonia si definisce in musica uno stile compositivo che combina 2 o più voci (vocali e/o strumentali) indipendenti, dette anche parti. Esse si evolvono simultaneamente nel corso della composizione, mantenendosi differenti l’una dall’altra sia dal punto di vista melodico che ritmico, pur essendo regolate da principi armonici. In senso compositivo il termine polifonia si contrappone a quello di monodia. Sebbene si sappia con certezza che pratiche affini all'organum e al falso bordone fossero note sin dai tempi più antichi, non sappiamo se le civiltà primitive abbiano sviluppato la polifonia. Dalle testimonianze bibliche dell' orchestra del tempio di Gerusalemme (Salmi, Cronache), sembra che la polifonia non fosse un concetto ignoto. Gli studi etnomusicologi ci riferiscono di una certa disposizione da parte di culture musicali etniche verso forme di polifonia. Tra le forme si individuano la pratica dell’eterofonia, del bordone, dell’imitazione e canone, e del parallelismo. Le prime fonti scritte che attestano l’uso della pratica polifonica si collocano intorno al 900 circa. Nel trattato anonimo dal titolo Musica Enchiriadis, proveniente dalla Francia settentrionale, sono infatti riportate le prime informazioni su questa pratica consistente nel sovrapporre ad una melodia desunta dal repertorio gregoriano, detta vox principalis, una seconda voce detta organalis, a distanza intervallare di quarta o di quinta, procedente per moto retto. Questa prima pratica polifonica, che può essere definita diafonia, e che trova le sue origini nell’ambito profano, ha dato origine all’organum parallelo.
[14] Organum: L’ organum rappresenta per lungo tempo, nell’ambito della musica sacra, la forma nella quale si fanno esperienze e nuove acquisizioni contrappuntistiche importantissime per l’evoluzione della pratica polifonica. Dalla pratica del punctum contra punctum, ovvero nota contro nota (da cui deriva il termine contrappunto), che prevedeva che ad ogni nota del canto ne corrispondesse una della nuova voce, la polifonia si evolve verso una maggiore autonomia delle voci. Innanzitutto dal “primigenio” moto parallelo fra le due voci via via vi si insinua l’impiego del moto obliquo e del moto contrario, come ci viene testimoniato da Guido d’Arezzo nel suo Micrologus. Verso il XII secolo appaiono composizioni polifoniche in cui la voce superiore inizia ad arricchirsi nel suo andamento, offrendo libere ornamentazioni melismatiche in corrispondenza delle singole note del canto (vox principalis). Il nuovo stile, che viene comunemente codificato come organum melismatico, nasce in particolare dal lavoro dei maestri dell’Abbazia di S.Marziale di Limoges. Il secolo XII vede anche il delinearsi di strutture musicali formali nate da diversi orientamenti nella pratica polifonica. Accanto all’organum troviamo infatti altre forme: Conductus, Motetus, Clausula, Copula, Hoquetus, Rondellus.
[15] Scala: Nel linguaggio musicale, una scala è una successione ascendente o discendente di suoni (note ossia frequenze) compresi nell'ambito di una o più ottave. La scala, vista come una serie di intervalli invece, viene correntemente definita come modo anche se il concetto di modo implica anche un particolare comportamento melodico delle note componenti la scala, dato dal maggiore o minor grado di attrazione. Le note di una scala sono anche definite come gradi della scala. Il numero di scale conosciute è molto ampio: scale diverse si caratterizzano per un diverso numero di suoni (scale a cinque suoni, a sette suoni, ...) e per le diverse specie di intervalli che le compongono. Popolazioni diverse adoperano scale diverse e una stessa popolazione può aver adottato differenti scale nel corso della storia, per motivi culturali e per l'utilizzo di differenti sistemi di accordatura o temperamenti). Spesso le scale sono dei costrutti teorici, costruiti "a tavolino" a volte sulla base di complesse relazioni matematiche o formali, sebbene molta musica (soprattutto contemporanea o extraeuropea) sia costruita con un approccio meno teorico.
[16] Tetragramma: Il tetragramma è il rigo musicale composto da quattro linee utilizzato nella notazione quadrata. È il predecessore del pentagramma, il rigo di cinque linee utilizzato nella notazione moderna. Il tetragramma e la notazione quadrata, insieme alla notazione metense ed alla notazione san gallese, sono tutt'oggi utilizzate nella notazione del canto gregoriano. Nell'antichità, fino al medioevo, non si conosceva una maniera di scrivere la melodia musicale, anche se in alcuni ambiti si era trovata qualche forma di notazione. I primi codici musicali risalgono al IX secolo. Le note erano segnate con dei segni grafici chiamati neumi. Ma la preoccupazione dei primi annotatori non era quella di dare indicazioni melodiche poiché la musica veniva trasmessa ancora mnemonicamente, ma ritmiche. Per questo venivano chiamate notazioni adiastematiche, cioè in campo aperto.
A partire dal X secolo nacque l'esigenza di dare indicazione, oltre che del ritmo, anche degli intervalli melodici. Gli antichi amanuensi, prima di scrivere, preparavano le pergamene tracciando a secco delle linee che utilizzavano come guida per una corretta scrittura. Si prese l'abitudine inizialmente di scrivere il testo una linea sì ed una no e di utilizzare le linee vuote per scrivere la musica. In un secondo tempo le linee divennero due che vennero colorate: di rosso per indicare il Fa e di giallo per indicare il Do. Fu così che nacque la notazione diastematica. Le linee si assestarono fino a quattro, poiché l'ambitus della musica medievale non era così esteso come nella musica moderna.
L'invenzione del tetragramma è impropriamente attribuita al monaco benedettino Guido D'Arezzo all'inizio dell'XI secolo, insieme ai nomi delle note musicali, sebbene sistemi musicali analoghi fossero già utilizzati dal IX secolo. I neumi andavano scritti su una linea o su uno spazio interlineare, analogamente all'uso attuale del pentagramma e le note vennero chiamate Ut (cambiata nel XVII secolo in Do da Giovanni Battista Doni), Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, dalle iniziali dei versi della prima strofa dell'inno a San Giovanni Battista Ut queant laxis, utilizzato da Guido D'Arezzo come memorandum per i suoi allievi.
I neumi furono rappresentati da Guido D'Arezzo con dei quadrati, poi diventarono romboidali ed infine tonde. L'introduzione delle figure di durata è attribuita a Francone da Colonia nel 1260.
[17] Notazione quadrata: La notazione quadrata, detta anche notazione vaticana, è una maniera di annotare il canto gregoriano. È la notazione più recente, apparsa nel XI secolo ed impropriamente attribuita a Guido d'Arezzo. È anche la più conosciuta, anche se oggi si preferisce avvalersi anche di altri sistemi di notazione, sia la metense e la sangallese in modo particolare come avviene nel Graduale Triplex, per un confronto ed un approfondimento dal punto di vista semiologico. I più antichi sistemi di annotazione erano detti adiastematici: i neumi erano scritti in campo aperto e non veniva riportata nessuna indicazione per quanto riguarda la posizione melodica delle note. Tuttavia, a poco a poco, si manifestò una ricerca di diastemazia, ossia di precisione nella notazione degli intervalli. I neumi, ancora in campo aperto, furono disposti su differenti livelli poi fissati in modo rigoroso attorno ad una linea tracciata con punta secca. Questa linea, riservata prima solo all'orientamento del notatore, fu presto colorata, poi si videro apparire righi a due o tre linee prima che il numero fosse definitivamente fissato a quattro.

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